IMMIGRAZIONE

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La rivoluzione islamica nordafricana del 2011

Il nord africa sta esplodendo : la ribellione popolare in Tunisia si sta estendendo agli altri paesi
nordafricani, Egitto in testa. Tutti assieme ? Tutti in una volta ? Certo.
Basta una scintilla : paglia ce n’è in abbondanza. I nodi vengono al pettine, anzi il nodo, cioè l’arretratezza culturale ed economica che si sposa con una religione funzionale al mantenimento di questa arretratezza e con regimi non democratici, più o meno appoggiati dai paesi occidentali, nella speranza come sempre illusoria di poter mantenere il precario equilibrio della regione.
La pentola è esplosa, il vaso di Pandora è aperto. Accade quello che inevitabilmente doveva accadere: le contraddizioni di un mondo, quello islamico, in aperto conflitto ideologico, culturale ed economico con quello occidentale stanno esplodendo.
Le religioni tutte (o quasi) ed il marxismo avevano capito una cosa fondamentale : una cultura (quale che essa sia) resta in piedi soltanto in due casi :
a) sopravvive isolata dal resto del mondo (ma oggi è impossibile quasi per tutti)
b) si diffonde e prende il sopravvento (di qui la spinta espansionistica ed i conflitti)
Roma era troppo importante, troppo ricca, troppo tutto (per l’epoca) per poter sopravvivere senza l’Impero. Le serviva espandersi ed imporre la sua cultura su un territorio vastissimo per tentare di vivere in pace e prosperità. Ma l’impero ha in sé i germi del suo disfacimento.
Così è stato per Roma e per qualsiasi altro tentativo di impero.
Saperlo tuttavia non impedisce la necessità del conflitto.
La cultura occidentale post marxista è imperialista: non si impone sempre con le armi e la guerra; spesso non serve. Ci sono le armi dell’economia e della finanza che sono anche più taglienti.
L’Islam e le culture che rappresenta sono antitetiche ed in pieno conflitto con la cultura occidentale.
La convivenza pacifica non è possibile. L’attuale rivoluzione egiziana potrebbe, nelle aspirazioni occidentali, sfociare in una rivoluzione democratica, che abbatta un regime autocratico a favore di un modello di società più simile a quello occidentale. Nessuno ci crede e infatti tutti hanno paura, paura che da questa fiammata nasca ben altro che un Egitto democratico, che poi sarebbe quello che veramente serve agli egiziani, se gli egiziani non fossero arabi, islamici e con una cultura in cui i principi della democrazia e del diritto come noi lo intendiamo non hanno mai trovato posto.
Questa fiammata fa esultare Bin Laden, il sogno del risveglio della Nazione Araba torna ad affacciarsi all’orizzonte e tutto l’occidente trema, perché quei medesimi arabi islamici travestiti da occidentali ormai si trovano anche nei suoi territori e in Francia ed Inghilterra le avvisaglie del conflitto latente ci sono già state; il terreno di cultura per un’escalation progressiva della pervasività islamica in Europa è pronto ad espandersi. L’Islam DEVE espandersi in Europa, perché diversamente la sua alternativa è soccombere, culturalmente ed economicamente.
L’Islam ha dalla sua i numeri (una popolazione numerosa e mobile) ed il petrolio.
Contro l’Europa giocano l’etica occidentale di stampo illuminista, la cultura di matrice cristiana che crede nella conversione e quindi favorisce l’accoglienza del diverso anche se nemico, la dipendenza dal petrolio, la capillare presenza sul territorio di individui in apparenza anche integrati nella popolazione locale, ma le cui radici affondano nei territori e nella cultura da cui traggono origine. In caso di conflitto, non c’è dubbio sul loro schieramento.

Sperare in un’evoluzione per noi positiva di queste fiammate nordafricane a me pare una pia illusione. Certo, i paesi europei tutti e gli Stati Uniti dovrebbero elaborare immediatamente delle strategie volte a sfruttare questa ondata rivoluzionaria per incanalarla verso obiettivi compatibili con le necessità vitali dei paesi occidentali, ma quali strategie ?
La rivoluzione islamica incarna e copre in realtà istanze che appartengono a tutti i popoli perché trovano il loro fondamento nella disparità economica stridente e troppo spesso intollerabile tra chi ha e chi non ha. Il secolare conflitto tra ricchi e poveri si ripresenta oggi sotto una forma diversa e forse più ambigua perché si colloca in uno specifico e ben confinato ambito territoriale e si sviluppa sotto una bandiera ideologica (Islam) che non è nata per risolvere il conflitto tra ricchi e poveri. Questo non ha importanza. Orfani del marxismo, delusi da secoli dal Cristianesimo i poveri assumono oggi l’aspetto dei musulmani del Nord Africa per riproporsi all’attenzione della Storia.
Non c’è alcuna consapevolezza in tutto questo : non si tratta di un movimento strutturato e con una precisa base ideologica come fu il marxismo; il marxismo nasce in Europa come movimento razionalista di stretta derivazione illuministica. L’Islam non è razionale, è una religione, quindi una ideologia fideistica e non persegue la giustizia sociale, ma può essere interpretata come più fa comodo e può diventare comunque una bandiera.
Diversamente dal marxismo, che aveva la pretesa di imporsi nel mondo intero a prescindere dalle culture locali, con la presunzione di superare e trascendere le convinzioni religiose e le inclinazioni naturali degli uomini, l’Islam vuole imporsi su una base religiosa che, derivando direttamente da Dio, intende superare a travolgere qualsiasi struttura di derivazione illuministica, quindi non religiosa, razionale, pur perseguendo alcune finalità concrete che non sono certo estranee alla cultura illuministica, anzi ne fanno parte integrante.
In Tunisia è stata anche chiamata guerra del pane : la gente cerca sempre cose abbastanza semplici, che spesso non riesce a raggiungere perché la cultura dominante le sottrae gran parte delle poche risorse disponibili e perché la gente non è comunque capace di sfruttare al meglio le poche risorse di cui dispone. Per formare un movimento di massa in grado di sovvertire lo status quo non basta chiedere il pane : occorre una bandiera da sventolare e in Nord Africa c’è una sola bandiera che si possa sventolare: si chiama Islam.
Automaticamente procurarsi il pane significa anche riproporre quell’insieme di infrastrutture ideologiche proprie della religione islamica che ripropongono il conflitto tra le culture.
Israele trema : che cosa c’entra il pane degli arabi con gli israeliani ? C’entra, perché se manca il pane e colpa di un diavolo e quale miglior diavolo di quello israeliano ?
Qui non ci muoviamo sul terreno del razionale a noi caro: qui è la pancia che reclama.
Noi occidentali ci troviamo spiazzati perché siamo abituati ad un approccio più razionale verso i problemi : se manca il pane, troviamo un modo di produrne di più, non convochiamo Dio dall’alto dei cieli, non accusiamo mondi diversi dal nostro di sottrarci il pane di cui abbiamo bisogno. Questa è naturalmente una semplificazione per dire che siamo di fronte ad un problema serio e sul quale è molto difficile per noi intervenire.
Se i moti di piazza in corso dovessero portare a regimi di governo islamici in stile Iran, ci troveremo di fronte ad un dilemma enorme, schiacciati tra l’opportunità di una resa incondizionata di un mondo obiettivamente in decadenza (quello occidentale) ad un mondo con prepotenti aspirazioni di crescita (quello islamico) e la necessità di un conflitto sanguinoso, il cui esito storico sarebbe comunque disastroso. Infatti possiamo tollerare l’Iran, perché si tratta di un solo paese, ma non potremmo tollerare un intero Nord Africa integralista ed ostile.

In questo scenario potenzialmente drammatico esiste tuttavia un elemento importante di cui non si è parlato, che può giocare un ruolo strategico nel ristabilire gli equilibri nella regione mediterranea.
Si tratta della Cina, un paese lontano ma vicino, culturalmente diverso sia dal mondo islamico che da quello occidentale, una specie di terzo polo tra due poli in potenziale conflitto.
La Cina ha una sua cultura millenaria che neppure il comunismo feroce di Mao Tse Tung e delle sue guardie rosse è riuscito a cancellare. Oggi la Cina ha saltato la barricata che la teneva lontana dall’economia di mercato e si è totalmente immersa in quest’ultima, moltiplicandone gli eccessi e le distorsioni, non ultimo lo spaventoso inquinamento prodotto nei suoi territori.
La Cina ha interessi economici e finanziari globali, ha la popolazione più numerosa del pianeta, il tasso di sviluppo economico più elevato e serbatoi per ora inesauribili di mano d’opera a basso costo.
La Cina è priva di ideologia apparente, nel senso che l’ideologia comunista tradizionale è stata largamente dimenticata, anche se il paese è governato da una oligarchia che si definisce comunista. Il rapido sviluppo del paese e la produzione rapidissima di ricchezza stanno comunque iniziando a produrre gli inevitabili squilibri che prima o poi si tradurranno in conflitti sociali anche gravi, con ripercussioni anche sull’assetto geopolitico del paese ; la Cina infatti non è un monolito, ma un insieme di popoli diversi, che a noi occidentali possono apparire indistinguibili, ma tali non sono.
Il Mandarino (lingua cinese ufficiale) è soltanto una delle centinaia di linguaggi anche molto diversi tra loro presenti nel paese.
Ad ogni modo la Cina potrebbe, se lo volesse, giocare un ruolo essenziale per evitare la deflagrazione del Nord Africa, non perché abbia soluzioni speciali da proporre o ideologie capaci di sottomettere quella islamica, ma perché il suo peso sulla scena mondiale sovrasta anche quello dell’Islam e in questi movimenti delle masse umane sono i pesi delle grandi masse che influenzano il corso della storia.
La Cina può pesare sulla scena nordafricana molto di più di quanto non possano pesare Europa e Stati Uniti e la Cina ha interessi nella regione perché è un importatore di petrolio.
Ancora una volta questo terzo polo non gioca comunque a nostro favore: la Cina, con il suo potenziale di consumo delle risorse del pianeta, rappresenta il più spaventoso fattore di crisi planetaria futura ed un suo crescente peso nella regione nordafricana avrà prevedibilmente l’effetto di affamare prima o poi l’Europa togliendole risorse strategiche di energia oltre che mercati di sbocco.
In conclusione, da un punto di vista occidentale, abbiamo secondo me queste alternative :
a) Tenere lontana la Cina ed anche, nei limiti del possibile, gli Stati Uniti d’America dalla scena nordafricana tentando di impedire che l’incendio produca tutto il suo potenziale di devastazione, preparandoci nel contempo ad un sanguinoso conflitto se le cose dovessero prendere la piega che maggiormente temiamo, in modo da stabilire il predominio europeo sulla regione, tenendo lontani, almeno temporaneamente, altri pretendenti.
b) Coinvolgere pesantemente la Cina sulla scena nordafricana, con tutto il suo peso economico e
politico, in modo da controbilanciare e stroncare sul nascere il risveglio islamico.
Questo naturalmente significa aiutare la Cina a mettere le mani sulle risorse del Nord Africa, con benefici immediati per la popolazione locale, e prospettive di espulsione dell’Europa da questa parte del continente anche nel breve periodo.
c) Non fare nulla (la cosa più semplice) ed assistere agli eventi, subendo i contraccolpi di questa evoluzione, sia a livello internazionale che a livello locale (presenza aggressiva degli islamici residenti nei paesi europei).

Sulla base dell’insipienza nel campo della politica estera sin qui mostrata dai governi europei, immagino che verrà percorsa la terza strada, che pare quella più politically correct e che ci vedrà comunque subire più o meno passivamente lo svolgersi degli eventi.
In ogni caso si tratta soltanto di tempo : il declino europeo è una necessità storica e non abbiamo molti mezzi per opporci. Si tratta soltanto di scegliere, se possibile, come rallentare questo declino e come rendere il più tollerabile possibile la nostra futura sopravvivenza.
L’esplosione del gigante cinese avrà luogo comunque, Islam o non Islam, e sarà più distruttiva di qualsiasi altra cosa che noi possiamo immaginare. In confronto a questo, qualche attentato terroristico qua e la rappresenta ben poca cosa. Il punto è che Cina ed Islam giocano comunque contro di noi, la prima perché ha una fame smisurata di materie prime, petrolio in primo luogo, il secondo perché vorrebbe sottrarci il petrolio, suo unico strumento di potere nei nostri confronti oltre agli uomini bomba. La nostra prospettiva è quella di poter sopravvivere ridimensionando drasticamente il nostro modo di vivere, con una strategia di sopravvivenza che faccia un uso minimo dell’energia e delle materie prime in genere, azzerando la nostra dipendenza da questi nuovi mondi in drammatico sviluppo.

Franco Puglia
30 gennaio 2011

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