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La Sanità pubblica rappresenta in Italia una delle maggiori fonti di spesa pubblica, sostenuta dalla fiscalità generale e gestita su base regionale, ma con il contributo statale.
I cittadini NON pagano, visibilmente, una tassa di scopo, che dovrebbe essere regionale, devoluta al sostentamento del servizio sanitario: i soldi sono quelli di un calderone comune da cui attingere e le cui risorse vengono distribuite dallo Stato alle Regioni secondo criteri non propriamente equi, e più spesso basati sulla “spesa storica”, sia essa congrua col servizio locale reso, oppure no, quali che siano gli sprechi che può contenere.
Il cittadino, quindi, non sa in che misura contribuisce alla propria spesa sanitaria pubblica per mezzo delle tasse, mentre decenni fa questo non accadeva, in quanto ogni busta paga per i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, dettagliava una cifra precisa per il contributo al SSN come ad INPS.
Oggi il cittadino non è in grado di dire se il servizio sanitario che riceve è poco o tanto in rapporto al suo contributo economico personale.
Questo è un aspetto del problema: è difficile chiedere al cittadino insoddisfatto del servizio un maggiore contributo finanziario, perché manca una base di partenza, manca la tassa di scopo.
Ed il cittadino italiano è MEDIAMENTE INSODDISFATTO, anche se la vulgata diffusa dice che all’estero è peggio. In sommario, quali sono gli elementi di scontento?
1. Disponibilità insufficiente del medico di base e saturazione dell’offerta di medici, ormai introvabili.
Un tempo bastava recarsi in ambulatorio e fare la fila; oggi serve un appuntamento telefonico, ed il tempo d’attesa può essere di giorni.
2. Riduzione delle mansioni effettive del medico di base, che più spesso NON visita i pazienti, tanto meno a domicilio, si limita a prescrivere ricette, non interviene su piccole emergenze, in via preliminare, ed il paziente è ormai abituato a ricorrere SEMPRE al Pronto Soccorso ospedaliero, mettendo in crisi permanente queste strutture per eccesso di pazienti che vi accedono.
3. Tempi di attesa per visite ed esami specialistici sempre più lunghi, che spesso superano il ridicolo.
Il bisogno sanitario, quando si presenta, è immediato, e non da preavviso. La risposta sanitaria dovrebbe essere tempestiva, ma non lo è. Se però il paziente sborsa soldi di tasca sua, con una visita privata e/o un esame a pagamento, allora il tempo d’attesa crolla, ma non sempre, da qualche tempo, perché il numero di medici disponibili su piazza, per interventi in regime di SSN o privato, è in crescente diminuzione, mentre da decenni vige il numero chiuso alle facoltà di Medicina e nulla è stato fatto, invece, per adeguare le facoltà al bisogno crescente di medici, come di infermieri, stimolando i giovani ad intraprendere questa professione, anche con un sostegno economico pubblico, perché la formazione è lunghissima.
Sorvoliamo sulla “qualità” del personale medico ed infermieristico, e sui casi di “mala sanità” , più frequenti nel Mezzogiorno italiano. Quando hai già carenza numerica di personale e pochi fondi per assumere e pagare, come fai a guardare il pelo nell’uovo della professionalità ed esperienza?
E si dovrebbe anche parlare di COSTI dell’assistenza sanitaria: quelli dell’assistenza privata sono stratosferici, pesantissimi ed insostenibili per la media nazionale dei redditi, ma anche con il SSN i costi non sono pari a zero, perché la prescrizione di farmaci, nonché visite ed esami specialistici, sono gravati da “ticket” più o meno salati.
I credo che la tutela della propria salute non possa e non debba essere gratuita, salvo per i nullatenenti, perché la salute è il bene primario, ed ha senso spendere di più per la propria salute che non per tanti altri consumi più o meno voluttuari. Vero è, però, che i costi del servizio appaiono sproporzionati ad altri servizi che comportino, come quello sanitario, elevata professionalità ed investimenti in strutture, ospedaliere piuttosto che industriali.
E qui si introduce il discorso delle strutture di PROPRIETA’ pubblica, quindi interamente a carico del SSN, e di proprietà privata, ma convenzionate con il SSN, che paga a queste strutture il costo prestabilito delle prestazioni rese ai pazienti che accedono con una prescrizione del SSN.
In queste strutture i tempi d’attesa possono essere considerevoli, in funzione del budget allocato dal SSN per ciascuna di esse, che consente di coprire non oltre un certo numero di visite specialistiche o esami ogni anno. Negli ospedali pubblici, invece, il tempo d’attesa dipende dalle risorse umane disponibili, insufficienti rispetto al bisogno.
Quando il paziente ha bisogno di ricorrere allo specialista, o ad un esame clinico, inizia il calvario della ricerca telefonica delle disponibilità, in assenza di qualsiasi coordinamento tra le varie strutture disponibili sul territorio, o limitatamente ad alcune di queste soltanto.
Ma esiste anche un altro problema: i medici NON sono tutti uguali per il paziente e, capacità a parte, ha senso che sia un medesimo medico a seguire lo stesso paziente durante tutto il decorso di una patologia, specie se cronica. Col SSN non è possibile, o quasi, a meno di tempi d’attesa biblici. Col privato si.
Mettere mano a tutto questo è un’impresa ciclopica. Non è solo questione di soldi (anche) ma di organizzare un insieme di risorse umane che dipendono da strutture diverse ed indipendenti.
Le soluzioni possono essere diverse, ma nessun serio e credibile tentativo è stato fatto in una qualsiasi direzione.
Sanità e previdenza sono i due grandi macigni del servizio pubblico italiano: occuparsi di questo, e non di altro, sarebbe il compito fondamentale dello Stato, mentre su tutto il resto è più facile che le forze sociali se la cavino da sole. Cosa aspettano le forze politiche? Non hanno ancora capito che il loro consenso passa soprattutto da come riescono a gestire questi elementi di base?
Ing. Franco Puglia
18 gennaio 2023